Di cosa parliamo quando parliamo di violenza contro le donne?

di Komorebi

Con la puntata di venerdì 11 novembre abbiamo dato il via ad un ciclo di tre puntate sul tema della violenza contro le donne. Vi riportiamo l’intervista a Caterina Righi, operatrice della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna.

Benvenuta Caterina. Perché parliamo di violenza contro le donne, in cosa differisce dalle altre forme di violenza?

E’ una violenza che le donne subiscono in quanto donne e la subiscono in ogni parte del mondo. In particolare, la violenza di cui mi occupo io è quella che la donna subisce da parte del partner o dell’ ex-partner.

Chi sono gli uomini che compiono atti di violenza contro le donne?

Sono uomini che possono intendersi come uomini “normali”, con una vita sociale e un’attività lavorativa, in grado di avere relazioni sociali che funzionano molto bene e che poi nell’ambito della relazione affettiva compiono violenza: non esiste una tipologia di uomini, nè di donne, è un fenomeno che si manifesta indipendentemente dall’età, dalla provenienza etnica e dallo status sociale: quando parliamo di violenza contro le donne ci troviamo di fronte ad un fenomeno trasversale.

Quanto è diffusa la violenza contro le donne?

Noi dal 1990 al 2006 abbiamo avuto una media costante di 350 nuovi accessi all’anno, ovvero 350 donne “nuove” che si sono rivolte a noi per avere aiuto rispetto ad una situazione di violenza, che di anno in anno si sono andate a sommare alle donne che il centro seguiva già. Dal 2006 ad oggi il numero sta lievitando e in media ci contattano tra le 550 e le 600 donne nuove all’anno. Dai dati della ricerca Istat del 2007 risulta che il 30% di un campione di 20.000 donne ha ammesso di aver subito almeno una volta violenza da parte di un partner, ma di questo grande numero solo un 4% ha detto di essersi rivolto ad un centro antiviolenza o ai servizi sociali: ciò significa che il sommerso è tuttora molto diffuso e c’è molto silenzio rispetto a queste situazioni.

I dati italiani  sono in linea con gli altri dati europei e mondiali?

Sì, sono dati assolutamente coerenti. In realtà non esiste ancora una raccolta nazionale sui dati della violenza domestica, a parte quelli di un’unica ricerca Istat del 2007. A livello regionale il nostro centro, che è attivo da più di 20 anni, ha sviluppato insieme ad altri centri dell’Emilia Romagna  una raccolta dati annuale, iniziata nel 1995, e i  dati che abbiamo raccolto sono coerenti con altri dati raccolti a livello europeo e mondiale. Questo ci ha permesso di vedere i cambiamenti nel corso del tempo, come il fatto che le donne si rivolgono ora ai centri antiviolenza prima che in passato: all’inizio degli anni ’90 infatti si rivolgevano a noi dopo una media di 10 anni di violenze subite, ora la media si aggira intorno ai 3-5 anni.
La mia percezione personale poi è che stanno aumentando molto le donne giovani che arrivano  al nostro centro con relazioni molto recenti rispetto alla violenza.
Normalmente la violenza non si verifica mai all’inizio della storia: ci sono momenti per la vita della coppia che possono scatenare atteggiamenti violenti da parte dell’uomo, come ad esempio dopo il matrimonio, o durante la gravidanza o anche in seguito alla nascita di un figlio.

Per quale motivo una donna che subisce violenza aspetta così tanto tempo prima di chiedere aiuto e tentare di uscire?

Generalizzando molto, diciamo che innanzittutto le donne che vivono in una situazione di violenza hanno molta paura, una paura assolutamente motivata. È importante sottolineare la differenza tra violenza e conflitto: mentre nel conflitto i toni possono anche essere accesi, ma c’è comunque un confronto paritario in cui non esiste la paura, nella violenza al contrario c’è una grandissima paura, da parte di chi la subisce. Quindi le donne parlano solo nei luoghi che sentono sicuri, perchè nel caso in cui le loro confidenze dovessero arrivare all’orecchio del partner, questo le metterebbe in serio pericolo. Inoltre le donne si vergognano molto: una delle componenti che drammatizza ancora di più la situazione è che il pericolo è in casa, cioè nel luogo che per eccellenza è ritenuto sicuro e in cui possiamo trovare protezione. Infine non bisogna dimenticare che essendo il partenr la persona con cui si è costruito un progetto di vita, con cui magari insieme si hanno dei figli, c’è un legame affettivo che può avere la sua importanza nonostante ci sia la violenza. Per capire questo complesso fenomeno bisogna pensare che gli episodi di violenza non sono quotidiani: la violenza domestica è ciclica, ovvero si alternano momenti di violenza più o meno gravi a momenti di recupero della relazione, ad esempio con promesse da parte del partner che questi episodi non si verificheranno mai più, cosa che fa nutrire alle donne la speranza che qualcosa possa cambiare.
Purtroppo il silenzio in cui viene tenuto il fenomeno lo rende poco visibile alla società, anche se tanto è stato fatto in questi anni ad opera dei centri antiviolenza e delle associazioni che hanno sensibilizzato in merito e di sicuro è anche questo il motivo che ha visto diminuire il tempo che una donna aspetta in media prima di chiedere aiuto.

Quando si dice che una donna su tre ha subito violenza spesso le reazioni sono di sospetto rispetto al dato: sono in molti a  “contestarlo” sostenendo di non conoscere così tante donne che hanno subito violenza…

Invece penso che tutti conoscano delle donne che subiscono violenza e degli uomini aggressori, ma non lo sanno. Il silenzio che circonda queste situazioni è tenuto dagli uomini che ovviamente non hanno interesse a far sapere di essere violenti, dalle donne che hanno paura e si vergognano e dalla comunità sociale che ignora il problema. In 20 anni si è molto diffusa la consapevolezza del problema, ma ancora in forma minima. E si pensa ancora molto che siano problemi in gran parte interni alla famiglia, da cui bisogna stare fuori. Capisco che il dato possa lasciare increduli, ma gli uomini attori di violenza sono davvero spesso persone assolutamente insospettabili.

Esistono differenti forme di violenza che un uomo può compiere nei confronti di una donna. In questa puntata parliamo in particolare della violenza fisica/sessuale: cosa si intende con questa espressione?

Tutto ciò che comporta un contatto col corpo: percosse, calci, pugni, schiaffi, morsi, tirate di capelli, venire immobilizzate, legate, ustioni provocate volontariamente, ferite riportate a seguito di lancio di oggetti da parte del partner… Potenzialmente un uomo che alza le mani puo’ diventare pericoloso fino all’omicidio, perchè la casa è piena di insidie e molte donne raccontano di essersi rotte le braccia contro gli spigoli o di aver riportato fratture cadendo violentemente addosso ad un mobile. Ma difficilmente esiste un solo tipo di violenza: le violenze che le donne vivono sono quasi sempre sia psicologiche che fisiche e possono essere sessuali, tipologia di violenze che le donne fanno molta fatica a raccontare.

Caterina, parleremo nelle prossime puntate delle altre forme di violenza e per ora ti ringraziamo per aver iniziato questa chiacchierata che continuerà il prossimo venerdì, 18 novembre. Prima di salutarci ti chiediamo i contatti della Casa delle Donne di Bologna.

Il nostro servizio è assolutamente gratuito e attivo dal lunedì al giovedì dalle 9 alle 17 e il venerdì dalle 9 alle 15 allo 051 333173. Nei restanti orari possiamo dare appuntamenti per i colloqui con le donne, sia in mattinata che in tarda serata. La nostra sede si trova a Bologna in via dell’Oro, 3, vicino a porta Castiglione.

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