La recensione del film “ti do i miei occhi” ospitata nella rubrica Cult della puntata del 18 novembre è ad opera di Anna Bestetti.
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Te doy mis ojos ( Ti do i miei occhi, in italiano) è un film spagnolo del 2003.
Il film inizia con la scena di una donna che, in piena notte, esce di casa con il figlio per mano e una valigia sotto braccio. Quella che potrebbe sembrare la fine di una relazione con un marito violento, è soltanto l’inizio di un processo di emancipazione complesso che Pilar, la protagonista, deve affrontare.
Il film è ambientato a Toledo, nella splendida capitale della Castilla La Mancha. Laddove Don Quisciotte lottava contro i mulini a vento, Pilar deve combattere non solo contro il marito che cercherà di riconquistarla, ma anche contro quella mentalità per la quale il primo dovere di una donna è quello di essere madre e moglie, di sopportare, di sacrificarsi per il bene e per l’unità della famiglia.
Questa mentalità che la regista, Icìar Bollaìn, critica della società spagnola, il pubblico italiano la ritrova facilmente in casa sua .
La maggiore battaglia di Pilar sarà comunque quella contro sé stessa e quella cultura nella quale è cresciuta e che, inevitabilmente ha interiorizzato.
Ti do i miei occhi è un film che parla della violenza in occidente, tra coppie europee e cristiane, tra persone, per così dire, come noi. Finalmente. Perché spesso sembra che a compiere violenza sulla compagna siano soltanto gli stranieri, gli immigrati e soprattutto i musulmani. Questo è forse il più grande merito del film.
Un altro grande merito è la profondità nella caratterizzazione e l’analisi psicologica dei due protagonisti. Pilar è una donna colta, amante dell’arte, con un lavoro che la gratifica e relazioni amicali. Una donna che se conoscessimo mai sospetteremmo essere vittima di violenza. L’unico indizio sarebbero quei lividi che cerca di nascondere, che comunque lei giustificherebbe con cadute dalle scale e piccoli incidenti domestici. L’atteggiamento di Pilar è proprio quello tipico della donna maltrattata. Non ne parla con le amiche, né con la madre né con la sorella, che è l’unica ad aver capito la situazione. Se ne vergogna e soffre in silenzio.
Antonio, il marito, è anche lui una persona insospettabile. Non si droga, non è alcolizzato, ha un lavoro stabile e all’apparenza sembra proprio un uomo a posto. L’analisi psicologica di Antonio è, a mio parere, particolarmente interessante. Antonio partecipa a un gruppo di aiuto per uomini violenti. Lo psicologo che lo segue gli fa appuntare su un quaderno le sensazioni che prova quando perde il controllo.
Così scrive Antonio: Il cuore accelera, si annebbia la mente e ti sembra come di soffocare, sembra che il collo e la nuca si riempiano di formiche, ti secchi dentro, si ferma l’aria, il rumore, tutto si ferma, e sei cieco.
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